Il programma di formazione per gli operatori dei Centri Giovanili di Forlì
di Guido Contessa*      

  

1. Il "contratto psicologico"

La richiesta iniziale dell’Assessore, relativamente alla formazione degli operatori, era di tipo tecnico. Come tutti i committenti, egli si preoccupava di fornire agli operatori dei Centri giovanili soprattutto delle capacità. In particolare, la esigenza espressa riguardava la capacità di "stendere relazioni consuntive e valutazioni" delle attività svolte nei Centri, in maniera che tali prodotti fossero completi, omogenei e dunque raffrontabili ed utilizzabili per le scelte di indirizzo politico. Una seconda capacità di cui veniva richiesta l’acquisizione per gli operatori, era relativa al "lavoro d’équipe": esigenza questa che nasceva dalla osservazione di un lavoro portato avanti dagli operatori in maniera spesso isolata, a volte conflittuale. In un primo tempo avevamo progettato un Corso di formazione finalizzato appunto alla fornitura delle capacità richieste. Tuttavia, come è solita prassi prudenziale, avevo anche richiesto un incontro cogli operatori al fine di verificare le ipotesi espresse dal committente e di conoscere meglio la realtà, anche soggettivamente vissuta, dei futuri utenti del Corso. L’incontro precedente all’avvio aveva inoltre il compito di instaurare un "contratto psicologico" con i futuri partecipanti; una sorta di patto che definisse i confini del rapporto formativo, che andava ad iniziarsi. In ogni situazione formativa non è sufficiente un contratto fra formatore e committente. Quest’ultimo in genere promuove l’iniziativa, trova i fondi per realizzarla, garantisce il reclutamento dei partecipanti e l’organizzazione logistica, ma non partecipa quasi mai all’esperienza formativa. Anche nei casi migliori, cioè quando non esistono secondi fini del committente o quando questi è abbastanza sensibile da interpretare con precisione le esigenze degli operatori partecipanti, si trovano sensibili discrepanze fra le aspettative dell’istituzione e quelle appunto degli utenti di un Corso. Nei casi (molto rari) nei quali tali discrepanze sono minime> il contratto psicologico coi partecipanti ha lo scopo di corresponsabilizzarli nell’iniziativa, sia pure a posteriori, di avviare una relazione formativa pre-corsuale e di ridurre l’eventuale fantasmatica che sempre viene mobilitata da una nuova iniziativa (chi c’è dietro?, quali sono le "vere" intenzioni?, ecc.). E’ inutile qui descrivere nei dettagli il colloquio esplorativo avvenuto fra il formatore e i partecipanti potenziali. Bastino le osservazioni conclusive, fatte appunto da chi aveva richiesto il colloquio. Il colloquio, secondo l’interpretazione del formatore, aveva messo in luce:

a) una forte crisi di motivazione negli operatori;
b) una scarsa omogeneità culturale fra gli stessi, sia in senso quantitativo che qualitativo;
c) una diffusa fragilità teorica e professionale.

La attuazione efficace di un Corso del tipo richiesto, doveva basarsi proprio su elementi che il colloquio aveva mostrato come deficitari. La motivazione era giunta ad un punto molto basso della curva,come è naturale nelle esperienze sperimentali, che partono sempre sulle ali di una forte utopia e si trovano dopo due o tre anni a dover fare i conti con le inevitabili difficoltà. Gli operatori avevano vissuto la fase "eroica" dell’avvio del "Progetto Giovani", fra i primi in Italia. Avevano dovuto affrontare ogni sorta di difficoltà ed ostacoli, ed a quel punto erano vicini al grado zero delle loro energie da investire.

Il secondo era quello della disomogeneità culturale degli operatori. Il "Progetto Giovani" era partito con una ipotesi di apertura culturale e ideologica, sulla base di un’ottica pluralista. Ed era stato portato avanti negli anni con ampi processi partecipativi. Ma questa strategia, se non è accompagnata da momenti continui di omogeneizzazione teorica e metodologica, rischia di portare a divaricazioni sempre più ampie. Il gruppo degli operatori non solo era formato da soggetti portatori di ideologie di fondo diverse (il che oltre che apprezzabile era anche funzionale): comprendeva al suo interno diversi livelli di preparazione culturale, di capacità personali e professionali, di modi di intendere l’animazione, i Centri Giovanili e anche il "Progetto Giovani" nel suo insieme. E non si trattava delle auspicabili — 8 incontri di mezza giornata ciascuno nei quattro mesi successivi (a cadenza quindicinale); — 2 giornate di Convegno cittadino nel mese di febbraio 1983.

Il metodo sopra descritto fu attuato alla lettera nelle prime quattro giornate. Mentre negli incontri successivi subì un’accentuazione operativa, meno analitica ed autocentrata, a causa dell’emergenza delle situazioni concrete. In altre parole, quando il gruppo si imbatteva in una difficoltà, il conduttore offriva contributi teorici sul contenuto del problema, nella seconda fase del Corso. Cosa che nelle prime quattro giornate era stato accuratamente evitata. I partecipanti al seminario iniziale erano circa 30, per cui furono costituiti tre gruppi di lavoro: uno formato dai segretari amministrativi delle Circoscrizioni e dai Presidenti delle Cooperative degli animatori; uno formato da operatori in servizio nei Centri Giovanili; ed uno formato per lo più da volontari ed obiettori di coscienza. Questo raggruppamento era motivato dall’esigenza di ridurre le diversità fra i partecipanti limitando, sul criterio della funzione nel "Progetto Giovani", le possibilità di incomprensione. Può sembrare assurdo che un seminario di quattro giornate, per trenta persone, venga centrato sulla discussione di un solo tema ("cosa è l’animazione"). Tuttavia mi sembra di poter affermare che la scelta fu molto felice e consentì di raggiungere obiettivi anche più ricchi di quello prefissato. La situazione di partenza poteva portare a due sbocchi disfunzionali, durante il seminario. Vista la diagnosi che avevamo data dei partecipanti, era facile che alla proposta di discutere in gruppo, partissero forti e irriducibili conflitti ideologici oppure che i problemi posti alla discussione venissero risolti con affermazioni superficiali e sbrigative. Se il seminario si fosse impaniato in simili sviluppi, avrebbe certo mancato ogni obiettivo. L’aver scelto un modello auto-eterocentrato ed uno stile di conduzione in parte supportivo ed in parte provocatorio, ha consentito invece ai partecipanti di immergersi in una situazione ambigua ed incerta. Il che ha provocato molta ansietà, specie all’inizio, ma anche un clima riflessivo, di reciproco ascolto, di approfondimento. Pur con grande fatica, i partecipanti si sono molto impegnati e sono giunti, al termine del seminario, con un "prodotto" (la definizione comune del termine animazione) modesto, ed un "processo" ricchissimo.

3. I risultati

Il lavoro dei quattro giorni ha offerto un "processo" molto ricco nel senso che:

— ha attivato un confronto preciso fra gli attori del sistema "Centri Giovani;
— ha portato ciascuno a misurarsi con questioni sempre più complesse, relativamente all’animazione;
— ha aumentato la motivazione dei partecipanti, facilitando la "messa in ordine" di idee sul "Progetto Giovani" che prima erano confuse, e facendole riappropriare (almeno sul piano teorico);
— ha sensibilizzato i partecipanti circa la necessità di collegarsi e di partecipare attivamente alla costruzione ed al miglioramento del "Progetto".

Certo, la base comune ottenuta nel seminario, non fu amplissima. Su molti punti esistevano ancora ambiguità, contraddizioni, incertezze, conflitti, resistenze; ma dopo i primi quattro giorni esisteva la disponibilità a percorrere insieme un cammino. I partecipanti non giunsero a questi risultati senza sforzi. Dovettero impegnarsi con fatica e determinazione, per distillare ogni idea, intuizione, opinione; per confrontarsi con tutti gli altri; per ampliare i propri orizzonti e restringere gli stereotipi interpersonali; per diminuire i preconcetti, i pregiudizi, le opinioni fondate sul niente. Come spesso si verifica, in seminari di questo tipo, dopo la "spremitura" dei partecipanti venne fuori una ricchezza notevole, una profondità di analisi ed una disponibilità che erano sepolte da strati di routine, di esperienze frustranti, di incomprensioni. Per esempio, emerse chiaramente che i funzionari delle Circoscrizioni, coinvolti nel "Progetto Giovani" in modo impreciso e poco burocratico, disponeva di grandissime risorse culturali, erano per lo più molto partecipi emotivamente ed anzi chiedevano (seppure in modo non esplicito) una elevazione professionale del loro impegno nel "Progetto".Gli operatori dei Centri erano il gruppo meno favorito strutturalmente, ma furono pronti a capire la necessità di darsi un coordinamento e di sviluppare progetti comuni, da contrattare con gli altri attori coinvolti nel sistema. I volontarimostrarono le minori resistenze all’approfondimento, anche a causa del loro minore coinvolgimento emotivo> ma fornirono agli operatori una stimolazione efficace circa le reali possibilità di cambiamento in positivo della situazione. Insomma, il primo seminario sorti l’effetto di un coperchio sollevato su una pentola che bolle. Ci sembrò di aver dato il via ad una grande corsa, in cui tutti volevano dare il meglio. La valutazione fatta al termine dei primi quattro giorni fu confermata negli incontri quindicinali successivi, durante i quali non diminuì l’impegno e la motivazione dei partecipanti nel proseguire l’analisi dei risvolti operativi dell’animazione. Furono discussi i problemi della programmazione delle attività; dei ruoli e dei loro rapporti; delle procedure progettuali e decisionali; dei sistemi di verifica; dei rapporti fra "Progetto Giovani" e territorio; dei particolari casi che, nel corso dei mesi, si presentavano agli operatori. Naturalmente un Corso non cambia il mondo. Al termine dell’esperienza, durante il Convegno finale, emersero con chiarezza i nodi sia politici sia organizzativi che il "Progetto Giovani" doveva ancora affrontare.

*Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMAZIONE, PREVENZIONE, VOLONTARIATO, PROTEZIONE CIVILE, ISAMEPS, Milano, 1984, pag. 79-84