I benefici che non abbiamo colto

Dagli anni novanta il pianeta sta registrando una trasformazione epocale, simile a quella avvenuta con la scoperta dell'America o l'invenzione della stampa. Intorno al 1990 hanno cominciato a svilupparsi gli effetti della globalizzazione e dell'immaterialesimo. Con la prima si è contratto lo spazio, con la seconda il tempo: due dimensioni cruciali per la vita e le società umane.

Per decenni l'Occidente ha sopportato la maledizione della fatica e del lavoro-merce a basso contenuto di senso e basso costo. Per decenni abbiamo decantato l'utopìa della liberazione dal lavoro. L'insieme di globalizzazione e smaterializzazione, andando a braccetto, ha dato l'avvìo alla fine del lavoro nel Primo Mondo.

Per decenni l'Occidente illuminato ha maledetto il colonialismo e invocato per il Terzo Mondo il diritto ad uno sviluppo economico favorito dalla industrializzazione e da un equo commercio. La globalizzazione e la smaterializzazione hanno favorito questo sviluppo portando nei Paesi poveri capitali e imprese e importando da essi manodopera. Oggi, il continente africano e quello asiatico stanno sicuramente meglio di 50 anni fa.

La globalizzazione non ha solo significato vedere nella stessa strada un ristorante tailandese, un chiosco di kebab e un negozio cinese di borse. Ha voluto dire anche migrazioni di massa dal Terzo al Primo Mondo, che hanno fornito un esercito di riserva del lavoro-merce a basso contenuto di senso e basso costo. Ha anche favorito la delocalizzazione di migliaia di imprese, alla ricerca di legislazioni più favorevoli e manodopera a costi più bassi e senza diritti. Ha immediatemente moltiplicato le opportunità della finanza, che da tempo considera il pianeta un unico mercato. Lo spazio si è contratto e le distinzioni fra qui e là sono evaporate. Come stanno evaporando i confini, le dogane, le lingue e le diversità nazionali

La smaterializzazione ha consentito alle imprese californiane l'impiego di imprese contabili indiane. L'organizzazione del lavoro della moda italiana e della elettronica americana ha potuto controllare in tempo reale le filiere produttive di fabbriche delocalizzate in Cina o in Thailandia. La fatica e la ripetitività di molte mansioni è stata assorbita dalle macchine. Informazione e comunicazione sono diventate planetarie. Il tempo si è contratto e le distinzioni temporali sono state azzerate dalla velocità. Passato, presente e futuro sono adesso, tutti insieme su uno schermo costituito da puntini luminosi.

Perchè ci lamentiamo dunque, per la "fine del lavoro" e per l'emancipazione del terzo Mondo, sognate da almeno un secolo? Perchè la politica italiana ha sbagliato tutte le scelte possibili.

Il lavoro-merce, materiale e faticoso, che iniziò a sparire 25 anni fa doveva essere sostituito dal lavoro-senso, immateriale e iper-qualificato. Ma non è stato così. Perchè il nuovo lavoro doveva essere supportato da un pluriennale piano formativo con investimenti massicci nella riqualificazione dei processi di adeguamento professionale. Doveva essere facilitata da infrastrutture telematiche d'avanguardia. Doveva essere accompagnato da significativi spostamenti di risorse pubbliche e private dai settori obsoleti a quelli immateriali o di alta qualità. Doveva essere favorito con una legislazione del lavoro che aumentava salari e diritti dei lavoratori operanti nei settori immateriali e innovativi. Soprattutto la transizione doveva andare di pari passo con un welfare rinvigorito verso i ceti con più difficoltà.

Nulla di questo hanno fatto i governi che si sono succeduti dagli anni novanta ad oggi, e l'Italia è avviata a passare dal Primo al Terzo Mondo.