Diritto d'autore (2003)

1. Una provocazione al dibattito

Un grande ostacolo al pieno uso della rete è quello del diritto d'autore relativo ai contenuti. Questa formula magica è quella che ha ucciso l'espressività per tutto l'Evo Moderno. Ha fatto passare l'idea che esprimersi era un mestiere, una professione, magari capace di far arricchire chi la faceva; e che dunque, chi non riusciva a mantenersi con l'espressività, doveva rinunciarvi. Che sia possibile esprimersi, per esempio scrivere, pur facendo un regolare lavoro è dimostrato dagli scienziati che scrivono continuando a fare il loro lavoro di ricercatori e insegnanti. Don Milani era prete e maestro, Einstein fu per anni impiegato all'ufficio brevetti, Freud non ha smesso un giorno di fare il medico, sia pure della psiche, Svevo si occupava di import-export, Borges lavorava come bibliotecario. Ma il problema non è tanto questo, quanto il fatto che non è vero che qualcuno inventa qualcosa.

Ogni artista, scienziato, pensatore, scrittore non è che un trasformatore, metabolizzatore, interprete di materiali altrui. Quando uno di questi ci sembra originale è solo perché non siamo capaci di risalire alle sue fonti. Questo non significa che l'autore non abbia meriti, ma non giustifica che la sua produzione sia inutilizzabile se non a pagamento. Esprimersi offre di per sé vantaggi, in primo luogo intrinseci (esprimerci ci rende soggetti più pieni e sovrani), e in secondo luogo forieri di un credito sociale che quasi sempre si traduce in vantaggi materiali. Il diritto d'autore ha raggiunto il paradosso con la fotografia e il documentario. Fotografi e cine-documentaristi riescono a farsi pagare i diritti d'autore, al posto delle macchine che usano e dei soggetti che fissano sulla pellicola. La foto sull'indiano affamato di Calcutta, non porta una lira a lui, ma al fotografo. Molte popolazioni o singoli hanno intuito questa forma di rapina e si rifiutano di farsi fotografare.
L'oggetto dell'espressività (libro, disco, saggio, quadro o foto) è tutelato dal diritto d'autore solo in quanto è diventato merce di un'industria. Un sistema produttivo che gode di molti benefici (fra i quali la pubblicità gratuita) ma che non cessa di essere un'industria come le altre. Il diritto d'autore è insomma fondato sulle esigenze della trasformazione e distribuzione. L'industria culturale trasforma i beni immateriali (idee, immagini, discorsi, notizie) in beni materiali e li distribuisce. Funzione come un sistema di intermediazione. Per questo difende il diritto d'autore. La rete offre l'opportunità di dare una spallata a questo sistema, eliminando la necessità sia dei supporti materiali sia della distribuzione.

Chiunque può diventare autore esprimendosi con la musica, la pittura o la grafica, la fotografia o il cinema, la poesia o la scrittura e, attraverso il web, far pervenire il suo lavoro a chiunque e ad un costo vicino allo zero. Che senso ha ancora il diritto d'autore? L'industria culturale dovrà riconvertirsi in qualcos'altro e i cosiddetti "artisti" dovranno trovare forme di reddito diverse dalla semplice espressività. La rete, che ha eliminato le barriere spazio-temporali, non può espandere il suo potenziale se viene vincolata dalle royalties. Il web è lo spazio dove chiunque può prendere ciò che vuole da ogni posto e da ogni tempo, trasformarlo e interpretarlo liberamente, per reimmetterlo in circolo. Il massimo diritto da riconoscere è quello della citazione, per mero fair play.

3. Quale diritto ha il diritto d'autore?

La legittimità del diritto d'autore si fonda sull'ipotesi che esista una fonte proprietaria del prodotto immateriale (artistico, letterario, musicale, giornalistico, ecc.). L'autore sarebbe il proprietario del contenuto e della forma del proprio prodotto. Il concetto di proprietà è già abbastanza discutibile per gli oggetti materiali, ma si può accettare in quanto ogni proprietà legittima è sempre legata ad un acquisto, cioè ad una spesa dimostrabile. Una cosa è proprietà di qualcuno in quanto questi o un suo parente, ha pagato per averla. Solo all'origine la proprietà nasce come furto. Se entriamo nel campo delle idee, dei simboli, delle immagini il furto è continuativo. Un autore non paga per il suo prodotto e lo crea attingendo alla tradizione culturale passata, o al mercato attuale dell'immateriale. Nessun autore crea. Ogni produzione immateriale è un assemblaggio, una rivisitazione, una traduzione di flussi immateriali planetari. Come è possibile assegnare il diritto di proprietà a chi assembla sette note o 20-25 lettere dell'alfabeto? O a chi riproduce con una macchina un istante della realtà? Si afferma che l'assemblaggio di elementi esistenti è un processo creativo originale: ma questa è una mera convenzione burocratica. Il primo che brevetta o deposita presso l'apposita burocrazia un assemblaggio, è per convenzione considerato l'autore. Come è possibile controllare l'influenza che sull'opera depositata hanno avuto le decine di autori, di decine di paesi e di diverse epoche? o le persone che circondano il depositante: maestri, familiari, vicini di casa ?

Il pittore può forse essere considerato l'autore della sua opera, malgrado si tratti di un assemblaggio di materie non sue(colore, tela, materiali vari): ma non delle copie che vengono fatte della sua opera. Uno scrittore racconta la vita di un altro: a chi deve andare il diritto d'autore e perchè? Un fotografo fissa un gesto sportivo: il copyright dovrebbe essere riconosciuto al fotografo o allo sportivo? C'è chi parla del diritto d'autore anche per le opere collettive come un film o una messa in scena teatrale o un concerto. Opere che sono il frutto di decine di contributi verrebbero attribuite al regista (film e teatro), o al direttore d'orchestra, che cercano di vantarne i diritti.

Gli stessi argomenti che vengono addotti per obiettare al brevetto degli OGM, possono valere per i prodotti immateriali.

Come mai non esiste un diritto d'autore per chi inventa un piatto culinario o un cocktail o un vestito? La questione del diritto d'autore ha a che fare con il potere delle corporazioni. Una corporazione forte impone alla società una "tangente" per i suoi prodotti, e la chiama "copyright". E la forza di una corporazione non è mai legata alla sua indispensabilità sociale, bensì alla sua prossimità coi ceti dominanti.

La questione del diritto d'autore si incrocia anche con il fenomeno dell'industria culturale, che merita altre riflessioni da fare in un altro contributo.